La mente di noi esseri umani funziona per un principio di “economizzazione”: ci riferiamo a delle categorie in cui far rientrare ogni singolo elemento per essere efficienti e veloci nel capire cosa si trova di fronte a noi. Il meccanismo è semplice: vediamo qualunque cosa nel nostro ambiente, la abbiniamo ad una etichetta che abbiamo “immagazzinata in memoria” e in modo veloce e automatico riusciamo a recuperare tutte le caratteristiche che abbiamo imparato essere abbinate a quella categoria. Funzionale no? Certo, è molto utile riconoscere e distinguere istantaneamente un cibo commestibile da uno pieno di muffa, perché colleghiamo la muffa a pensieri come “che schifo!” “mi farà male” e riusciamo a preservare la nostra salute evitando quel cibo.
Ma con le persone? È funzionale?
Proviamo a riflettere su cosa implichi l’immediata categorizzazione che tutti facciamo a proposito delle persone: una delle prime cose che inconsapevolmente ci chiederemo di fronte a una persona che non conosciamo potrebbe essere “è un uomo o una donna?”
Non abbiamo neanche bisogno di soffermarci più di tanto sulla domanda perché nella maggior parte dei casi è palese la risposta; sarebbe anche interessante chiederci perché spesso ci troviamo estremamente a disagio quando non si riesce a dare in modo immediato questa risposta…
Ciò su cui adesso vogliamo soffermarci è capire quali sono le “caratteristiche” che abbiniamo alle due eventualità, ai due generi. Queste caratteristiche rientrano tutte in quelle che vengono definite differenze di genere.
Sarebbe sbagliato, come molti affermano in modo convinto, pensare che “non esistono differenze di genere”: perché negare l’evidenza? Siamo senza dubbio fisicamente diversi, abbiamo processi biochimici all’interno del nostro corpo differenti, molto spesso abbiamo anche “potenzialità” fisiche diverse, laddove un uomo e una donna della stessa età altezza e peso che allenino il loro corpo nello stesso modo per lo stesso periodo di tempo, svilupperebbero forza e resistenza diverse.
Un ambito in cui possiamo osservare le differenze di genere è lo sport: si hanno gare, squadre e classifiche mondiali separate per uomini e donne in moltissimi sport olimpici e non, tra cui vari tipi di atletica, ginnastica artistica (in cui si hanno addirittura strumenti e attrezzi differenti), ma anche tennis, calcio, basket, ecc.
In realtà è più facile trovare sport in cui vi sia una differenziazione in base al genere piuttosto che non trovarlo. Una curiosità che vogliamo rendervi nota è che nel mondo moderno in realtà si fanno passi sempre più grandi per assottigliare queste differenze: uno sport tipicamente pensato come “femminile” come il nuoto sincronizzato è praticato anche da (pochissimi) uomini che gareggiano insieme alle donne! Nella nazionale italiana possiamo essere fieri di avere un bravissimo atleta come Giorgio Minisini.
Questa è un’operazione che in un certo modo tende a “normalizzare” le differenze di genere, per fare sì che queste non incidano negativamente sulle opportunità, aspettative, comportamenti che si hanno rispetto al genere di una persona.
Le differenze di genere sembrano essere secondo alcuni neuropsicologi presenti anche a livello neurale: oltre al diverso volume di varie aree cerebrali, giri cingolati, parti anatomiche con nomi impronunciabili che vi risparmiamo, in generale i ricercatori sono concordi nel ritenere che le differenze cerebrali comportino differenze di pensiero e in particolare gli uomini tendano ad essere più schematici e valutino i problemi categorizzando gli elementi che li compongono, sarebbero quindi più pragmatici; le donne invece tenderebbero a pensare con maggiore flessibilità.
È anche vero però che come dice Baron-Cohen “anche se ci sono chiare differenze strutturali cerebrali tra maschi e femmine un ruolo importante è svolto dall’ambiente e dalla società in cui vive”. Il “dilemma” non è di facile risoluzione: è nato prima l’uovo o la gallina? Vengono prima le differenze neurali che determinano le differenze di genere nel comportamento o è l’ambiente che determina le differenze neurali che determinano come ci comportiamo?
Pensiamo a quanto appena detto: uomini pragmatici, donne flessibili nella risoluzione di problemi. Facendo riferimento a un’idea stereotipata di ruoli familiari di quella che è una “famiglia tradizionale” si pensa al padre come uomo forte che lavora e mantiene la famiglia, risolvendo ogni problema in modo molto pratico (banalmente fa i piccoli lavoretti di casa, aggiustando ciò che può); si pensa invece alla madre come donna instancabile che riesce a passare dalle faccende di casa, all’accudimento dei figli, all’attenzione ai bisogni del marito per essere una “brava moglie”, è appunto flessibile passando facilmente da un ruolo all’altro e gestendoli facilmente in contemporanea.
Questo è un tipico esempio di ciò che ci aspettiamo da una persona in base al suo genere, il genere infatti nella nostra concezione è abbinato a una serie di ruoli appropriati, escludendone altri. Tendiamo a pensare in questo modo per il principio di economia di cui abbiam accennato in precedenza. Ma quali sono le conseguenze? Che siate donne o che siate uomini, ci risulta davvero difficile che vi identifichiate appieno nelle descrizioni appena fatte descritte di madre e padre: se non sono totalmente difformi da quello che desiderate per voi stessi, di sicuro saranno imparziali e incomplete. Le aspettative che derivano da una rigida considerazione dei ruoli di genere, sono spesso inadatte e costrittive per le persone, pensando solamente alla genitorialità (che è solo una parte della vita di alcune persone e neanche di tutte) è facile intuire come non a tutti si adattino tali aspettative: ci sono padri la cui maggiore soddisfazione è accudire i figli, madri il cui desiderio è realizzarsi in ambito lavorativo. Entrambi questi aspetti sono difformi dalle aspettative dettate dal genere, eppure sono reali, appartenenti a moltissime persone.
Le differenze di genere, infine, comportano pressioni negative oggi molto più sulle donne che sugli uomini, specialmente in ambito lavorativo, ma neanche i primi sono immuni. In Italia soltanto il 17% delle donne che lavorano in azienda ha un ruolo dirigenziale, davvero una percentuale minima considerato che la distribuzione dei generi nelle aziende italiane è del 48% lavoratrici donne. La differenza di salari è effettiva e reale in moltissime parti del mondo, anche quelle più “avanzate e moderne”, e va da un -7% a sfavore delle donne per gli impiegati e un -14% per le posizioni dirigenziali (ben 19.500 euro annui!).
Se nello sport queste differenze sono ancora “tollerabili” (e non da tutti!) a causa delle differenze fisiche, non possono esserlo più in ambito lavorativo. Le differenze esistono, ma vanno valorizzate e non “sfruttate” a sfavore di chi culturalmente è percepito come più “debole” in alcuni ambiti (le donne). Il vero problema non è, secondo noi, riferirsi alle differenze di genere, ma avere una concezione rigida e vincolante di queste che determina aspettative irrealistiche e incongrue a bisogni, desideri e capacità reali delle persone. La differenza è ricchezza, sempre! Un mondo omologato è un mondo piatto, è per questo che ogni differenza va valorizzata e non sfruttata a piacimento, portando a discriminazioni e stereotipie di vario genere.