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IL BLOG DI CREAZIONI

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L’ALTRO-DA-ME

23 Gennaio 2022Categoria: Diversity, Equity & Inclusion

Un mondo sempre più amalgamato

L’essere umano è curioso, si sposta, esplora, vuole conoscere più cose possibile. Con il corso del tempo abbiamo perso la nostra spinta (anche dettata dalla sopravvivenza) al movimento, per sostituirla ad una sedentarietà. Gli avvenimenti politici e sociali specialmente del continente Africano, hanno ultimamente però “riacceso il movimento”, aumentando notevolmente negli ultimi anni i flussi migratori in Europa; in contemporanea rimangono molto consistenti anche le migrazioni negli altri continenti: dall’America del sud e dal Canada agli Stati uniti, dall’Europa all’Australia e viceversa, solo per fare alcuni esempi. 

Insomma, il mondo di oggi è sempre più amalgamato e interconnesso, in parte a causa di migrazioni “obbligate” dovute a condizioni di vita insostenibili in paesi coinvolti in atroci guerre o in regimi dittatoriali, in parte a causa di una spinta individuale volontaria alla scoperta del mondo, in ognuno dei due casi la spinta è la ricerca di nuove e migliori opportunità di vita. 

Specialmente il nostro paese è negli ultimi anni al centro di un importantissimo flusso migratorio che va dal continente Africano a quello Europeo, questo anima molto lo scontro politico e sociale su un tema fondamentale come l’immigrazione e conseguentemente la diversità culturale ed etnica. 

Ogni giorno sempre di più ci confrontiamo con l’Altro, un altro-da-sé che ci appare estremamente diverso, è importantissimo quindi, oggi più che mai, interrogarci su quali sentimenti possa suscitare questo incontro in entrambe le parti e quali sono le conseguenze non solo sul piano psicologico, ma anche sul piano sociale.

Non riconoscersi

Immaginiamo di trovarci in una stanza vuota, esplorandola ci imbattiamo in uno specchio e guardiamo l’immagine che esso riflette. Possono accadere 2 cose: in un primo caso riconosciamo l’immagine di noi stessi in questo specchio, probabilmente saremo comunque inquietati o turbati dall’essere in una stanza vuota, da soli, ma sicuramente sarà rassicurante guardare la propria immagine e riconoscersi; in un secondo caso guardando lo specchio non ci riconosciamo, troviamo un’immagine altra da noi… presumibilmente sobbalziamo, ci giriamo subito per controllare che non ci sia nessun altro nella stanza, non ci sentiamo al sicuro. Sebbene questa sia una situazione surreale e che potrebbe verificarsi solo in un sogno (o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti…) ci può far riflettere su un elemento concreto della vita quotidiana: il diverso, se è diverso in un elemento fondante della nostra identità che è la cultura e l’etnia, ci spaventa. 

La domanda che dovremmo porci è: “l’altro ci spaventa perché non lo conosciamo, o perché invece non ci riconosciamo in lui?”. La differenza è sottile ma sostanziale.

L’alterità nasce quando non ci riconosciamo

Secondo Mia Wuehl, psicoanalista Milanese, “l’alterità nasce quando, incontrando l’altro, non ci riconosciamo”. È ben diverso dal dire che l’alterità nasce quando non riconosciamo l’altra persona: l’altro è altro in quanto non è me, mi fa paura poiché, essendo diverso da me, non so cosa aspettarmi, come comportarmi, non posso prevedere quali saranno le sue reazioni proprio perché in lui non trovo elementi riconoscibili, non trovo me. 

L’altro spaventa perché non è conoscibile come io ritengo di poter conoscere me e chi percepisco come uguale a me. Anche su questo punto in realtà potremmo interrogarci: chi ha paura dell’altro ha paura perché, conoscendo sé stesso, non si riconosce o ha paura perché, non conoscendosi pensa di perdere quel poco che conosce di sé? Sempre per Wuehl, la paura dell’altro si innesca quando percepiamo che l’alterità ci esponga al pericolo di perdita della nostra identità. In realtà dovremmo aggiustare quindi la frase: l’alterità nasce quando non ci riconosciamo e fa paura quando non ci conosciamo.

La paura del diverso

Si accennava prima al fatto che il mondo moderno è di sicuro molto più interconnesso di quello del passato. Banalmente per la presenza di potentissimi mezzi di comunicazione e informazione come internet e per la possibilità che abbiamo di spostarci da una parte all’altra del mondo in temi relativamente brevi oggi abbiamo molto di più la possibilità di conoscere culture, usanze, tradizioni e costumi estremamente diversi da quelli a cui siamo esposti. Sia i flussi migratori, ma anche i viaggi “di piacere” temporanei che moltissime persone fanno permettono quotidianamente di entrare a contatto con culture diverse. Quando è che entrare in contatto con il diverso ci fa paura? Innanzitutto quando ci si sente “obbligati” a farlo: in caso di migrazione. La paura è in questo caso bilaterale: siamo molto incentrati sulla presunta “invasione” di migranti di cui tanto si sente parlare e sui nostri sentimenti al riguardo che non teniamo minimamente in considerazione la paura di chi è costretto a migrare, a lasciare la propria cultura e con essa un’importante parte della sua identità, spesso per salvarsi la vita. I sentimenti estremamente forti connessi a quello che può essere definito il trauma migratorio sono troppo complessi per essere esauriti in questo spazio, ci limitiamo a lanciarvi questo spunto di riflessione: proviamo a chiederci come si sente un migrante, in Italia, oggi. Il modo in cui potrà sentirsi dipenderà moltissimo da come la società lo accoglierà, se con accettazione o con inclusione: due atteggiamenti estremamente diversi che rispettivamente “tollerano” la presenza di migranti o invece la considerano una risorsa. 

Entrare a contatto con il diverso in secondo luogo, come già detto, fa paura nel momento in cui mette in crisi la nostra identità culturale: sentiamo in pericolo la nostra appartenenza a una cultura quando questa non è così forte da resistere al confronto con altre culture. Sviluppiamo una paura del “contagio”, come se fossimo dei neonati con le difese immunitarie non ancora forti: essendo il nostro senso di appartenenza culturale molto debole, basta poco per metterlo in discussione. Scatta quindi il meccanismo difensivo del rifiuto dell’altro, del diverso.

“Io non ho paura”

Dall’incontro tra culture, fortunatamente, non scaturiscono sempre sentimenti negativi di rifiuto e paura, in alcune persone nasce curiosità, voglia di scoprire, interesse vero e genuino. È molto evidente la bellezza del contatto tra diversi nei bambini: i bambini piccoli non sono ancora sovraccaricati di sovrastrutture sociali e culturali che gli “insegnano come pensare” e come rapportarsi con gli altri, si comportano in modo spontaneo e genuino. Certo, le differenze, specialmente etniche, sono visibili e innegabili, ma sono qualcosa che incuriosisce i bambini piuttosto che spaventarli. Chi frequenta i parchi nei soleggiati pomeriggi primaverili avrà sicuramente visto almeno una volta due bambini di etnie differenti giocare felici tra loro, personalmente mi rimase molto impressa la domanda di Pietro, un bambino di 4 anni che mi chiese se il suo amico Ibrahima (di origini Senegalesi) era stato troppo sotto il sole ad abbronzarsi per avere quel colore della pelle, anche lui lo avrebbe voluto: “come faccio a essere come lui?”. I bambini hanno tanto da insegnarci, vedono la differenza dell’altro per quello che è: una risorsa da accogliere a braccia aperte, come un raggio di sole che ci lascia quella piacevole sensazione di calore e il colorito abbronzato sulla pelle che sfoggiamo fieramente di ritorno dalle vacanze.

BIBLIOGRAFIA

  • Wuehl, M. (2018). Il migrante: ascolto e cura. La biblioteca di Vivarium (Milano).

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01. SULL’AUTORE

CreAzioni Consulting

CreAzioni Consulting è una società di consulenza aziendale con sede a Milano, fondata nel 2018 da un gruppo di psicologi e manager. L'azienda si distingue per l'integrazione di competenze psicologiche e organizzative, offrendo servizi personalizzati che mirano a sviluppare il potenziale umano nelle aziende.

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