Settembre 2019, Demi Lovato, nota cantante americana, posta sul suo profilo instagram una foto in bikini in cui mostra il suo corpo “senza filtri”, al naturale, con cellulite e imperfezioni in bella mostra. Accompagna la foto da una descrizione che è più uno sfogo contro il body shaming a cui lei, così come moltissime donne, è stata a lungo sottoposta.
Il body shaming è un termine inglese per indicare la pratica del deridere una persona per il suo aspetto fisico; nei confronti delle donne consiste molto spesso nel denigrare il corpo femminile poiché non corrispondente a dei canoni estetici di bellezza ideale, di magrezza, pelle “pulita”, liscia, perfetta, tonica. Il body shaming però non è attuato solo nei confronti delle donne, ma nei confronti di chiunque abbia quello che viene percepito dalla maggioranza delle persone come un difetto fisico: altezza, peso, muscolatura, capelli, parti molto “salienti” del viso come il naso o gli zigomi, anche imperfezioni della pelle dovute a malattie dermatologiche come la psoriasi o la vitiligine.
La diffusione dei social network e di immagini filtrate, cioè modificate, ha contribuito purtroppo alla diffusione del body shaming che sfocia molto facilmente nel cyberbullismo. Potremo stare a parlare di complessi meccanismi psicologici e sociologici per cui ciò accada, ma il motivo in realtà è tanto scontato quanto banale: con la “protezione” di uno schermo che non ci espone vis a vis ad un’altra persona e alle sue reazioni emotive di fronte a un giudizio o una presa in giro, siamo tutti molto più “bravi” a criticare. Il meccanismo è lo stesso di un videogioco violento: quanto ci viene facile fucilare i personaggi dei videogiochi senza pietà? Dobbiamo davvero chiedervi se avreste la stessa facilità a fucilare persone nella vita reale?
Nonostante il termine sia di recente diffusione il body shaming non è affatto un fenomeno nuovo. Ha delle origini molto precoci sia nella nostra storia filogenetica (l’evoluzione della specie, dell’umanità) sia in quella ontogenetica (lo sviluppo della singola persona nel corso della sua vita). Chiaramente gli elementi di derisione, giudizio e critica sono cambiati nel corso della storia, ciò a causa del fatto che nel corso della storia cambiano i canoni estetici di ciò che è considerato “bello”. Per dare un’idea di com’è cambiata la percezione di bellezza del corpo femminile nel corso della storia rimandiamo a un’interessante video realizzato dal canale “Buzzfeed”.
Basti pensare alle principali icone sexy del secolo scorso e a quelle attuali: Marilyn Monroe ha fatto la storia degli anni ‘50 con le sue rinomatissime misure 90-60-90, e i suoi 60 kg per poco più di 1 metro e 60; oggi sarebbe considerata “curvy” e sicuramente meno apprezzata delle magrissime top model attuali (una su tutte Gigi Hadid, 50 kg per 1 metro e 80 di altezza).
Dicevamo però che il body shaming non si limita al corpo femminile, prende di mira una caratteristica fisica qualunque tra cui ad esempio anche i capelli. Sapevate che nel medioevo era molto diffusa la superstizione per cui le persone con i capelli rossi discendessero dal diavolo in persona? Erano quindi considerate pericolose, emarginate, derise e nei casi peggiori bruciate al rogo! Certo, non siamo più nel medioevo e grazie al lume della ragione acceso dall’illuminismo, non bruciamo più la gente a rogo…anche se esiste il rogo mediatico, la cui miccia si accende con estrema facilità sui social network!
Se già nel medioevo, quindi precocemente nella storia filogenetica, abbiamo già un singolare esempio di body shaming nella derisione ed emarginazione delle persone con i capelli rossi, cerchiamo qualche esempio nella storia ontogenetica: pensiamo alla nostra vita.
Ciascuno di noi, a meno che non siate Gigi Hadid (e potremmo avere dei dubbi anche su di lei), è stato preso in giro almeno una volta nella sua vita per una qualunque caratteristica fisica. Quando la prima volta? Molto presto, sicuramente! Spessissimo già alle scuole elementari, 6-7 anni, i bambini iniziano a formare i primi gruppi sociali. Come si vengono a costruire? Sulla base della somiglianza. Come restano compatti? Prendendo di mira un compagno o una compagna con qualche caratteristica differente, che quindi non rientra nel gruppo. Questo è funzionale quindi a creare la coesione sociale e il senso di appartenenza al gruppo (e non si esaurisce in infanzia! Non diteci che non avete mai fatto amicizia con qualcun altro sulla base di un’antipatia comune…).
Come si identifica, quindi, il “bersaglio”, il bambino da prendere in giro? Sulla base dell’apparenza, dell’estetica e della diversità. È così che il bambino un po’ più in carne viene chiamato ciccione, la bimba con gli occhiali quattrocchi, il bambino con le orecchie a sventola dumbo, e così via.
Bisogna chiarire che i bambini non hanno una cattiveria innata che li porta a prendere in giro il bersaglio che individuano; la sensibilità emotiva è una capacità molto complessa che si sviluppa nel corso della vita, i bambini piccoli non hanno ancora capacità di mentalizzazione (cioè di pensare alla mente degli altri) super sviluppate, il più delle volte quindi non considerano che le loro prese in giro nei confronti di altri potranno innescare sentimenti negativi in queste persone. Questo è amplificato e accentuato da ciò che apprendono con l’esperienza: se sono esposti a degli esempi adulti negativi, in cui quindi i genitori, i fratelli maggiori, gli insegnati, i personaggi televisivi, etc., criticano e insultano liberamente altre persone, impareranno che questo è un comportamento accettato e accettabile e lo ripeteranno. I bambini sono degli “animali sociali” estremamente intelligenti, apprendono moltissime delle loro capacità per imitazione dei modelli sociali, in modo da potersi integrare efficacemente nella società. Possiamo quindi considerare il body shaming come un comportamento appreso. Perché nel corso degli anni non si estingue questo apprendimento nocivo? Semplice, perché nessuno fa passare il messaggio per cui sia nocivo.
Le piattaforme social, che si sommano oggi alle riviste di moda, sono una vera arena dei leoni (da tastiera) in particolare per le donne dello spettacolo, continuamente esposte a critiche e giudizi quindi molto facilmente vittime di body shaming. Se in passato la rivista x o y poteva far uscire il pezzo su quanto fosse ingrassata la tal cantante e il lettore medio poteva limitarsi a leggere l’articolo di grande caratura intellettuale e commentare con amici e familiari, oggi con l’avvento del web e dei social siamo tutti potenzialmente giudici di moda, potenziali scrittori di Vogue che si arrogano il diritto di sentenziare sul look e sull’aspetto delle “persone famose”. Il body shaming però non si limita al web, è sicuramente facilitato da esso ma non nasce con la sua diffusione, esiste ben prima e si esprime tramite altri canali e modalità. Come mai continuiamo a criticare le persone sulla base del loro aspetto? Come mai continuiamo a criticare, e basta? Perché sentiamo questa esigenza di comunicare al mondo e alla persona oggetto di critiche la nostra opinione sul suo aspetto e perché questa esigenza è più pressante di quello che dovrebbe essere un importante deterrente: ferire un’altra persona? Mettiamoli sul piatto della bilancia: dire quello che penso o invece evitare per non offendere un’altra persona e provocarle sentimenti negativi? La nostra morale dovrebbe dare un peso molto maggiore al secondo elemento, eppure all’atto pratico, non nascondiamoci, raramente è così.
Sicuramente la società ha un ruolo estremamente forte nell’attribuire i pesi ai pro e contro di ogni nostra azione: socialmente, esprimere un giudizio anche se offensivo è considerato meno negativo dell’offendere una persona. Perché? Probabilmente perché l’individualismo che è il valore massimo della società occidentale in cui viviamo ci impone di affermare le nostre idee, le nostre opinioni, di affermare noi stessi, a qualunque costo. Probabilmente anche perché la sofferenza emotiva, “rimanerci male” per critiche e offese è socialmente sminuito, denigrato, indica una persona debole che ha bisogno del giudizio altrui per stare bene e non riesce a basarsi solo sulla propria autostima e sulla fiducia in sé. Purtroppo si, cresciamo con questo tipo di messaggi. Dovremmo ricordarci però, che l’autostima è costruita anche grazie al giudizio degli altri, che esprimere disagio emotivo e sofferenza, rimanerci male e saperlo esprimere è un grande segno di maturità emotiva, di capacità di mentalizzazione, di sensibilità; sebbene la sensibilità sia abbinata a fragilità si rivela fondamentale in moltissimi aspetti della vita, in primis nelle relazioni sociali. Accanto, quindi, al messaggio della società individualista del “fatti valere, esprimi i tuoi pareri, sii libero di dire ciò che vuoi” dovremmo sempre ricordarci che siamo un singolo, Uno inserito in mezzo ad Altri e che senza questi altri non saremmo quelli che siamo. Accanto all’individualismo deve sempre esserci la comunità; lo ribadiamo: il bambino e quindi l’uomo è un animale sociale, ha bisogno degli altri. Dovremmo quindi ricordarci di dare un peso ai nostri giudizi, di considerare come importante e preziosa la sensibilità altrui; ciascuno di noi può brillare senza spegnere la luce degli altri, ciascuno può avere un valore senza sminuire gli altri e anzi, ha molto più valore riconoscere quanto è preziosa la sensibilità e riuscire a non intaccarla. Concludiamo citando una canzone non famosissima, che riassume quello che è il nostro pensiero a proposito del body shaming: “essere belli come il sole non serve se non brilli più di luce riflessa” (S.U.N.S.H.I.N.E. Rancore e Dj Mike).